mercoledì 21 settembre 2011

imprecaZzioni

Cosa potresti avere se studi come un pazzo per fare bene un esame d'ammissione che ti riporterebbe tra le persone che ancora sognano (un lavoro che ti piace)
Cosa potresti averne fatto della tua vita se dopo aver passato una settimana chiusa in casa praticamente dormendo tra giornali riviste e libri di storia letti a furia.
Cosa può essere accaduto alla tua mente se ti trovi finalmente davanti a quel foglio bianco, dopo aver preso un treno all'alba, dopo aver aspettato 3 ore seduta per terra che iniziasse l'esame, e senti di avere tutte le carte per scrivere un bell'articolo, perchè ti ricordi date, numeri, fatti.
Perché so tutto della Libia, e so tutto anche di Palestina e Israele. Perché che culo ho anche l'imbarazzo della scelta.
Cosa dovrai mai aver pensato dopo sei ore di scrittura, ricontrollo, mettere la x giusta nel quiz giusto. Che lo so chi ha fondato il Corriere della Sera, e la becco per culo quella della Fossa delle Marianne.
Che diavolo devi averci in testa, quando consapevole di avere fatto una prova che è possibile ti porti all'ammissione.

Ti porti a casa un foglio di brutta.
Un foglio timbrato, che hai firmato per averne uno in più.
Che è un concorso pubblico.
CHE BISOGNAVA CHIUDERE TUTTO NELLA BUSTA.

Forse ero solo stanca e non capivo più niente.
Forse non capisco più niente della mia vita.
Forse non capisco niente e basta?


domenica 22 maggio 2011

Per fortuna l'io, prima o poi, diventa tu.

Sono già un pò di notti che le ore di sonno sono ridotte al minimo tra saluti e viaggi in bus.
Perchè fa più paura tornare che mettersi su un aereo verso l'ignoto?
Le cose sono confuse e chiarissime allo stesso tempo e volano via veloci le emozioni.
Ho provato a immaginare mille volte la sensazione che avrei provato, ma niente ci assomiglia.
Arrivano voci che mi chiedono di pianificare il prossimo week end o il lunedi che arriva ma io non sono in grado di immaginarmi niente di ciò che sarà di là.
Niente di quello che mi è successo quest'anno è stato minimamente pianificato. Le cose si sono date giorno dopo giorno.
Negli ultimi 314 giorni ho viaggiato fino dall'altra parte del mondo, ho imparato a vivere in una metropoli da 13 milioni, ho lavorato alla produzione di un festival enorme, ho fatto uno spettacolo di teatro a Buenos Aires, ho imparato a calcolare i tempi di laboratorio per sviluppare un negativo, ho conosciuto tre nazioni e innumerevoli paesaggi, mi sono dimenticata compleanni e persa lauree fondamentali, ho messo da parte tutto ciò che ero e chi mi aspetta di là per scoprire nuovi amici e nuovissime me, ho imparato a zappare la terra e a piantare carciofi.
So un sacco di cose in più sull'inflazione sugli indigeni sulle vene aperte dell'America Latina. Ho assimilato una lingua.
Ho imparato a cavarmela da sola in ogni circostanza. Ho imparato a prescindere dalla doccia e dai vestiti puliti.
Ma la somma di tutto questo non dà nessun risultato. Si riassume in una sensazione che non si può descrivere.
E poi quando cinque amici passano tutta la domenica pomeriggio a arrotolare i tuoi vestiti per far stare tutto in valigia ogni cosa si illumina.
Un anno si può riassumere nell'intensità di un abbraccio e in un paio di occhi lucidi che ti chiedono di tornare presto.
Io me ne vado con la certezza che non ho visto tutto, che non ho visto abbastanza.
Non ho vissuto niente e non so cos'è l'amore.
Odio le idee grossolane e le opinioni sulle cose.
Non credere di sapere ogni cosa nè di poter dire chi è chi.
Tutti alla lunga siamo tutti e in un certo infinito mare della transfigurazione ci ripetiamo con ostinazione. Per fortuna l'io, prima o dopo, diventa tu.


Ma la mia testa brucia e io non voglio che si fermi.


L'alba ha sempre il suo fascino, anche in mezzo alla spazzatura

Seconda parte del viaggio in Colombia.
Direzione nord, col cambiare parallelo cambiano le stagioni.
Tappa a San Gil, dove il massimo è il rafting tra verdi ammassi di alberi stupefacenti.
E poi tutta dritta fino a Rioacha, si scende dopo 13 ore di autobus per essere prelevati dai mille offerenti di macchine fino a Uribia, la città della spazzatura, della benzina venezuelana e dei passaggi in camion fino a Cabo de la Vela.
La Guajira è una regione di puro deserto dove i Wayu, gli indigeni del posto, gestiscono le terre e vivono di pesce e turismo.
Povertà è dire poco. Le casette sono di fango e tetti di bambù. Il mare è caraibico, ma la spazzatura arriva dappertutto.
Non c'è acqua potabile, ci si lava con l'acqua di mare. Si dorme in amaca.
Per pranzo c'è pesce, e anche per colazione e per cena.
E poi di nuovo si monta sulla camionetta scassata, si sta in piedi dietro, e si scende con vari traumi alla schiena e quantità di terra addosso e in bocca.
Punta Gallina è il punto più a nord del continente. Dopo il camioncino bisogna fare due orette di barca per arrivare. Qui sono tre o quattro le posadas, è un luogo quasi puramente indigeno. Noi siamo da Victoria e la sua immensa famiglia si prende cura di noi. Se il precedente camioncino sembrava scassato quello con cui ti portano in giro qui è da panico. Nel senso che c'hai proprio una crisi di panico quando sei su e il legno del vano di carico a cui ti aggrappi per non essere scaraventato nel nulla forse si aggrappa a te per non volare via.
Un membro della nostra famiglia Wayu protegge le uova delle tartarughe marine dalla voracità delle nostre fauci. Le protegge dalla fame della sua gente.
I giorni volano veloci tra aragoste e sorrisi.
Ultima tappa prima di tornare a Bogotà è Camarones, una spiaggetta dove rispuntano le palme e una laguna con una riserva di fenicotteri e un santuario di tartarughe. E quando vedi spuntare quel guscio enorme e ti emozioni e poi ti dicono che quella è giovane, arriverà a essere di un metro e mezzo o forse di più sei triste perché stanno sparendo e sono così belle.
Le bambine afro vendono i biscotti di cocco e mi accompagnano dappertutto impressionate dal mio cellulare e desiderose di mettersi in pose da modelle di fronte alla mia macchina.
Dal momento in cui ho scelto dove mangiare, sono sotto la custodia del ragazzo che lavora nel ristorante. Mi porta alla rancheria dove dovrò passare la notte. Camminiamo tra cumuli di spazzatura e entriamo nel fangoso villaggio Wayu.
Io dormo nella casa del cacique, il capo villaggio. Dicono che sia un grande onore.
La baracca della mia famiglia è piena di bambini urlanti. Le donne tessono le mocilas, io mi siedo a terra e tesso la mia.
Intanto penso che sono giorni che non mi lavo e che la doccia sarà da rimandare fino all'arrivo a Bogotà. Penso che non so dove metteranno la mia amaca in mezzo a quel disastro. Mentre il capofamiglia, Belisario, mi racconta la storia dei suoi avi io mi rendo conto che spesso i suoi discorsi non arrivano da nessuna parte.
Mentre parla penso anche che il giorno dopo non potrò rifiutare il cibo che mi daranno, e che starò male per questo.
Quasi mi ero dimenticata che è Pasqua.
Nessuno dei figli di questa famiglia ha finito la scuola. La mamma distribuisce ai bambini biscotti imbustati e buttano tutto per terra.
Il giorno dopo sveglia alle 5, Belisario mi porta con la sua barchetta di legno a fare il giro della laguna per vedere i fenicotteri. L'alba ha sempre il suo fascino, anche in mezzo alla spazzatura.
La laguna è incredibile. I Wayu sono quelli che ti fanno da guida orgogliosi della riserva e allo stesso tempo riempono il loro territorio di spazzatura.
Non c'è niente di romantico né di ideale, ci sono esseri umani desiderosi di case macchine televisioni benessere. C'è chi ha fame e chi mangia, come sempre.


venerdì 15 aprile 2011

COLOMBIA

Sono qui a Bogotà ospite di Valentina, amica di vecchia data che lavora presso WarChild, una ONG olandese.
La maggior parte dei suoi amici sono cooperanti, quindi prima di raccontare il mio vissuto colombiano sparo un pó di cifre che ho raccolto ascoltando conversazioni e che Valentina mi ha aiutato a perfezionare. (Vedi http://www.codhes.org/index.php?option=com_docman&task=cat_view&gid=35&Itemid=50).


280,041: i DESPLAZADOS - persone che devono lasciare la propria terra a causa del conflitto armato o altre manifestazioni di violenza politica e sociale - nel 2010

4,9 milioni: stima dei desplazados in totale

Tra 9.000 e 14.000: i minori reclutati da gruppi armati. Le cifre oscillano. Dipende dalla fonte. Chiaramente nel primo caso parliamo di governo, nel secondo di ONG.

30.000: gli omicidi all'anno

2500: sequestri di persona a scopo d'estorsione

3500 circa: i morti (denunciati) per "falsos positivos" (il governo dà un incentivo ai militari che catturano più guerriglieri. I militari catturano, uccidono e travestono da guerriglieri cittadini comuni.)

1 ogni 24 h: casi di "fleteo" (rapina a mano armata a persone che ritirano i ssssoldi da banche)

6.638: gli ettari di terra espropriata da gruppi armati

5,5 bilioni di pesos: i soldi che ci vogliono per decontaminare il Rio Bogotà

90%: la cocaina esportata

10%: la marijuana esportata

Ma lo sapevate che a Bogotà piove tutti i giorni?
Forse mi avevano avvertita, forse non ho voluto cogliere. Comunque ora, come ieri, sta diluviando, con tanto di tuoni.
E tutti i piani di giretti per la città se ne vanno a puttane. Bah almeno è il clima giusto per sedersi e scrivere.

La mia amica Vale, che è una persona seria e lavora, mi lascia regina del suo splendido appartamento dove io, sì, io me la godo sta pioggia e sono un pigro pigro gatto sonnolento.

Da tipica meri la disorganizzazione la fa da padrona nei piani, così arrivo in Colombia completamente impreparata al freddo, alla stagione di piogge, al fatto che qui non NON CI SONO LE STAGIONI, che tanto vado a casa di Vale e lei sicuramente avrà tutto quello che mi serve.
Così non ho una giacchetta impermeabile (tra l'altro penso di non averla mai avuta), ho tre magliette e un maglione, un solo paio di scarpe e dunque se si bagnano, se si cammina in valli di fango, CI SI ATTACCA E SI RESTA COI PIEDI BAGNATI e ciao ciao belle decorazioni coi fiorellini.

Arrivata qui scopro di non essere in grado di tollerare i 16 gradi di Bogotà, e dopo due settimane sono già che frigno con addosso tutta la roba che ho rimpiangendo il caldo porteño che prima di arrivare stavo maledicendo in tutte le lingue che conosco.
Ma oltre al violento cambio di stagione, (e al cambio di fuso) c'è l'altitudine. Bogotà è a 2640 metri.
Chi mi conosce sa della mia leggendaria potenza fisica, che tra l'altro è notevolmente peggiorata e che non so come mi stia ancora permettendo di fare sta vita da girovaga.
Risultato: per fare due piani di scale ci metto 15 minuti, mi addormento ovunque appoggio la testa, raffreddamento costante.
Si dice che ci vuole una settimana per abituarsi alla scarsezza di ossigeno, mi sa che a me ce ne vorranno come minimo due, eh!
Ma io intanto ne approfitto per coccolarmi in questa casetta che, per me, è quasi una SPA.
Non mi sembra vero di non dover lottare per usare l'unica pentola buona, o di schiacciare con gesto ormai automatico lo scarafaggio che passeggia per il bagno, di avere un frigo dove non solo C'È SPAZIO, ma dove posso addirittura congelare delle cose e soprattutto di avere a disposizione er mejo dell'elettrodomestico (che solo quando non ce l'hai capisci quanto ti cambia la vita) eh sì....sto parlando di lei: LA LAVATRICE. Considerando che mi sono portata tre magliette mi sarà molto utile.
È incredibile come uno si adatti a certe situazioni che se me lo dicevi un anno fa FIGURATI.
Bogotà non è proprio una città easy going. In tutta la mia giornata di autonomia devo restringere i miei percorsi a zone ben delimitate, niente autobus, il taxi lo devi chiamare prima e segnarti il numero che lo identifica e chiudertici anche dentro.
L'ho respirata appena arrivata la tensione, e dire che venivo da Buenos Aires, mica da Pescincanna!
Anche la gente è diversa. Qui ci sono i poveri e i ricchi. Punto.
I ricchi vivono nella zona nord, e dall'alto dei loro appartamentini sembrano addirittura disconoscere la drammatica situazione in cui vivono la città e il paese. Vige un misto di vergogna, conservatorismo e perbenismo che rendono difficili conversazioni spontanee coi locali.
Come è paradossale la situazione sociale così lo è l'architettonica. Vai camminando per una zona dove forse non dovresti nemmeno stare e di quando in quando spuntano edifici stupendi, incredibilmente in armonia con il paesaggio.
Forse è la prima città che conosco dove le nuove tendenze d'architettura, i palazzi con le forme aerodinamiche e le terrazze verdi riescono veramente a integrarsi con armonia nel paesaggio urbano sormontato dalle Ande.
Così sono entrata nelle biblioteche più belle che abbia mai visto, come la Luis Ángel Arango, dalle cui splendide terrazze e vetrate si può ammirare la desolante povertà della città.
E le cose che ami ti vengono sempre a cercare.
Mi siedo nell'emeroteca della biblioteca e prendo in mano la rivista abbandonata sul tavolo. Si chiama El Malpensante, grafica e disegni da paura, contenuti ben bilanciati tra traduzioni di articoli stranieri, tematiche nazionali e parecchia letteratura (c'è un racconto in ogni edizione). Insomma la rivista che io avrei dovuto trovare sedendomi nelle biblioteche della mia facoltà bistrattata, invece di trovarmi costretta a leggere Internazionale, mitico, che però non contempla gli interessi del letterato.

E poi tanti eventi gratuiti, un sacco di proiezioni, concerti e seminari. Così io vado al primo film gratis che becco, ossia a cazzo. Mi siedo nella sala con quattro o cinque barboni e inizia la proiezione. Manco era un film, ma un documentario. Su uno scrittore colombiano, Fernando Vallejo. Provocatore, senza peli sulla lingua, blasfemo e irriverente, libero da qualsiasi costruzione ideologica: è subito amore.

Ma non è solo letteratura e politica questo viaggio. Alta rumba a Bogotà, ballare qui è una questione di cultura. Ed è bellissimo rinchiudersi in un oscuro bar e lasciarsi andare ai ritmi della cumbia e della salsa. Sudaticci e un po' alticci di aguardiente ci si appiccica a qualcuno e si fanno andare piedi, cadera e spalle dimenticandosi le inibizioni del solitario ballo europeo.

Nel finesettimana siamo scappate ad Armenia, per dare un occhiata al eje cafetero, la zona di produzione del caffè. Nella valle del Cocora abbiamo fatto una camminata di cinque ore tra colline verdissime e palme smisurate, tre delle quali ore sotto il simpatico diluvio tropicale, che non distingui se sei completamente immerso nel fango o nella mmerda (cit. Vale), e per tipo cinque volte dovendo improvvisarci equilibriste su palitos di legno che si muovevano come il culo di una cubana.
Il giorno dopo abbiamo preferito affidare i nostri passi al dorso di generosi cavalli che ci hanno portate a una finca cafetera, dove ci è stato mostrato tutto il processo di produzione del caffè e dove abbiamo degustato una buona tazza di tinto.

Oggi si riparte per quella che dovrà essere la parte più bella e selvaggia del viaggio. Direzione Nord, prima tappa San Gil e poi dirette fino in Guajira, l'ultima regione a nord-est che confina col Venezuela ed è bagnata dal mar Caribe.


sabato 19 marzo 2011

Elogio (ironico) alla sedentarietà

Ogni volta che leggo i post della mia amica Mery provo quella sorta di invidia benigna...Mery che gira il mondo con l'anima sempre pronta a trasformarsi in foglio bianco e di volta in volta ri-riempirsi di colori: che si tratti del grigiore milanese o dell'arancione dei muri di Buenos Aires, poco importa... Ogni posto sara' per lei nuova fonte di gioie e dolori, scoperte e delusioni... Dopo ogni parentesi di vita, però, tornera' arricchita, vedendo noi sedentari come persone sempre piu' noiose e "vecchie"...
Avremo ancora qualcosa da darle, noi umani destinati a svernare (non necessariamente, ma e' pur sempre una possibilita') nello stesso posto in cui siamo nati?
Noi che ci siamo fatti le nostre esperienze e siamo contenti così nonostante serbiamo ancora, sparsi qua e là, frammenti di curiosità da soddisfare? Noi che ogni anno ci gasiamo per la riapertura del nostro locale estivo preferito, in cui riascolteremo le solite canzoni, urlando a occhi chiusi, col braccino che si muove a ritmo e un sorriso stampato in faccia dovuto anche solo al fatto di poter uscire senza giacca? Noi che gioiamo nell'acquistare la tessera VIP per la manifestazione cinematografica "indipendente" più interessante che abbiamo? Noi che non ci stanchiamo di fare un vanto della nostra ricca scena musicale live, che ogni settimana mette alla prova le nostre doti organizzative, la nostra capacita' di conciliare doveri e svaghi
e la nostra sfacciata fortuna nei concorsi? noi che non vediamo l'ora che arrivino le ferie per vivere quello che per tutto l'anno abbiamo programmato più o meno minuziosamente e ci ha tenuto incollati agli schermi dei pc per quella che potrei ora definire la "caccia al low cost"?.. Noi che forse non incontriamo ogni giorno vagonate di persone nuove da "aggiungere agli amici", ma che riscopriamo sempre con piacere la genuinita' e spesso frivolezza delle chiacchiere coi vecchi amici, che si tratti di quelli che sentiamo ogni giorno o di quelli che perdiamo di vista di tanto in tanto, perchè sai che comunque (in genere) ci saranno sempre per te, e tu per loro.
La scrittura su iPhone e la fobia da tunnel carpale non agevola di certo i miei pensieri gia' di per se' poco ordinati...
Tutto cio' per dire, ecco, che spero noi sedentari avremo ancora qualcosa da dare alle Mery che partono... e a volte ritornano.


venerdì 18 marzo 2011

Y mirà que apenas nos conocíamos y ya la vida urdía lo necesario para desencontrarnos minuciosamente

Ehssì, ultimi giorni da residente porteña, sia per Migracciones che per l'affitto che scade tra 10 giorni e la decisione di andarmene in giro per un po' prima di rivedere i bianchi lidi della mia piccola patria.
Un tributo alla città che non dorme mai è più che dovuto.
Tre piccole scoperte per una Buenos Aires che non è assolutamente solo reggaeton y cumbia.

La Ratonera Cultural - espacio de fabricacion artistica. http://www.laratonera.com.ar/ratonera

Ci finisco per caso con la mia nuova compagna di giochi Ana. Ci spinge lì la promessa che suona una amica di amici di amici che è la sua sosia e che come lei suona il violino. Quindi ci si vede lì.
Ah un altro rito magico di Buenos Aires è darsi appuntamento in un luogo e poi scoprire, grazie alla necessaria Guia T, dove si trova e come arrivarci.
Parentesi dovutissima per elogiare la mitica Guia T. Praticamente l'unica soluzione ai problemi di orientamento in questa città di 13 milioni di abitanti. Se te la dimentichi a casa sei fregato, una volta ne ho dovuta comprare una nuova per strada.
E' un piccolo quadernetto che entra in tutte le borse o tasche e contiene la mappa di tutta la città grigliata e divisa in zone. La prima volta che ce l'hai tra le mani hai una piccola crisi di panico, perché pensi che non riuscirai mai a capire come strcacchio funziona, ma con un po' di pazienza diventerà la chiave per aprirti le porte della città.
Nelle prime pagine sono elencate tutte le vie – e bada bene! solo le vie, no piazze, solo vie – con rispettivo numero di pagina di ubicazione nella mappa e nella griglia che è divisa in lettere e numeri, un po' come a battaglia navale. Una volta trovata pagina e riferimento della calle y altura de la misma, a fronte si troverà la stessa griglia, con in ogni quadrato tutti gli autobus che passano per quella zona. Così cercando il numero di autobus che coincida con uno che passa per la tua di zona, si può raggiungere qualsiasi luogo (o quasi).
Bè sono sicura che non si sia capito un emerito....ma è proprio questo l'effetto che cercavo, il battesimo al disorientamento che provoca il reticolo porteño.
In questo caso io ho rivolto vari improperi consultando la mia Guia T, perchè il posto è a Villa Crespo, un barrio che non è assolutamente pratico da raggiungere per me che vivo en Nuñez. Non è particolarmente lontano, più che altro è parecchio all'interno della città.
Qui basicamente i meglio comunicati e i più frequentati sono i quartieri che si appoggiano alla costanera, la linea verde che costeggia il Rio de la Plata. Dunque orizzontalmente, asse nord-sud. Spingendosi all'interno i barrios si fanno più residenziali e anche più pericolosi.
Bene arrivo all'indirizzo. Ci passo davanti e vado dritta. Poi torno indietro, piccola porticina schiacciata dagli asfissianti edifici. Insegna bianca luminosa che dice: TEATRO. Lugarcito senza alcuna aspettativa. Fuori un crocchio della bella e alternativa gioventù di Buenos Aires. Salgo le scalinata lunga e stretta e una sorpresa lignea e l'aria di cultura ti avvolgono. Non è insolito, sono molti qui i bar/circoli culturali che si sviluppano in verticale, a causa della forma stretta di molti edifici. 10 pesos per l'ingresso, prezzo proletario.
Poca luce, un piccolo palco e schiacciata nel fondo una gradinata. Una ragazza sola con la sua chitarra sta strimpellando Bossa Nova. La serata è dedicata a esibizioni dal vivo di musica, letture, corti. La lettura delle poesie è penosa, ancora si dà per scontato che chi scriva poesia sappia anche leggerla.
Poi un trio di ragazze, con tipico abbigliamento da alternaz volutamente trasandato, che cantano a cappella, potenze vocali sorprendenti. Usano anche qualche percussione. Impressionante, canzoni di tradizioni antiche non solo sudamericane.
É quello che più mi piace di Buenos Aires, un altro spazio irreale, sospeso com'è questo piano nell'edificio, dove la città si apre alle più svariate performance, comprese quelle patetiche.
Alla ratonera fanno anche corsi di teatro, produzione, seminari artistici.
Mi volano via i pensieri. Tutti questi alternativozzi con le gonne colorate, rasta e sorrisi e pace dell'anima e le loro case sicuramente piene d'amore, fighissime, piene di sottobicchieri peruviani e pareti arancioni e piante in vasi con la faccia di Diego Rivera. Ma come cacchio fanno. Cioè anch'io sogno di avere quella casa piena di mobili di legno grezzo e sedie riciclate e tele colorate e piante nel bagno. Mi manca la pace dell'anima mi sa.
Sarebbe bello frequentare più spesso questa Ratonera, però è un pò troppo fuori mano per me.

È invece proprio nella mia zona, Nuñez-Belgrano, il Club Cultural Matienzo. http://clubculturalmatienzo.blogspot.com

Qui il clima è più onda urban-ribelle-etichetta indipendente. Molto radical, molto chic.
Le iniziative sono moltissime e tutte interessanti.
Ogni week end ospita vari gruppetti niente male, il martedì c'è il teatro nella terrazza, con cinque scene brevi e poi il ciclo di cinema. Sembra veramente appetitoso il mondiale della commedia di Ojo de Pez che inizia la prossima settimana. Momenti in cui proprio poca voglia di lasciare la città.
Anche qui corsi, produzione, radio, esposizioni.
Bisognerebbe mettere in sospeso tutte le proprie attività solo per seguire tutti i progetti brillanti del Matienzo.
Il baretto è una casa a due piani con terrazza, verticale again.
Le pareti del piano terra, dove ci sono il piccolo palco e il bancone del bar, sono decorate con murales colorati e opere pop, poi si salgono le scale e una stanza è dedicata alle esposizioni e le altre vuote, col pavimento di legno, per te e i tuoi amici che vi sedete per terra e vi bevete la birra e chiacchierate ignorando il concerto o le esposizioni.
Il pubblico selezionatissimo acclama un'altra canzone. È il tipico da centro cultural, aternative-chic: ragazzi magri coi capelli in faccia e vestiti estratti just in time dall'armadio della nonna.
Ce se la tira un po' al Matienzo.

E poi il mitico Konex, in Almagro. http://www.ciudadculturalkonex.org/web/index.php

Qui cambia tutto, gli spazi si aprono, enormi, quello di dentro e quello di fuori.
Luogo per pubblico molto più vasto, di concerti e serate.
Tutti i lunedì, da cinque anni, il Konex ospita la Bomba del Tiempo, gruppo di sole percussioni tutto da ballare.
Molti concerti onda balcanica, anche qui cicli di cinema e lezioni di tango.
Domenica scorsa sono andata a sentire gli Onda Vaga, gruppo di cui mi sono innamorata in una settimana (più o meno il tempo che mi occorre per innamorarmi di un ragazzo) e che ho conosciuto grazie ai miei amici autoctoni.
Il gruppo, tutti ragazzi, è nato senza pretese e da circa un anno è diventato un vero fenomeno.
Cajon, chitarre, trombe, percussioni e quattro voci sempre all'unisono.
Sono amici, si divertono e si vede. Sono bravi e si meritano la fila di gente che ho trovato per comprare il biglietto.
La musica ti avvolge e ti affascina la perfetta sintonia tra strumenti e voci.
I loro ritmi non si lasciano mai catturare da una definizione: samba, cumbia, salsa, flamenco, folklore, tango e mambo, il tutto mescolato con le più contemporanee sonorità dell'indi-rock che tanto piace all'Europina.
Ma più indi di così non si può, perché questi ragazzi non rientrano proprio in nessuna categoria.
I testi sono parte integrante del mix esplosivo e senza accorgertene li sai già a memoria.
Rolling Stone nel 2008 li ha detti banda dell'anno in Argentina e il loro primo album è stato inserito tra i primi 50 album mondiali più importanti dell'anno.
Questa scoperta è una risposta allo scetticismo musicale degli Eurocentrici, e mi ci metto anch'io nel gruppo, che mettono zero nella loro scala di interesse per questa parte di mondo. E invece mi accorgo giorno dopo giorno che l'Europa invecchia e che qui si ringiovanisce.


martedì 1 febbraio 2011

spezzatino di volontà, rompimento di patti, brandelli di decisioni.

gambe rotte, anima in brandelli, cuore spezzato.
ossa rotte, spirito in brandelli, volontà spezzata.
spezzatino di volontà, rompimento di patti, brandelli di decisioni.
Dopo tre giorni di un'intensa attività pensativa - alias fissare il muro - oggi è arrivato il giorno di alzarmi dal letto.
Non certo per mia volontà, ma perchè devo andare al lavoro.

Bè comunque io la faccio sempre facile, alla prima delusione, cambio continente.
Daltronde è andata così anche a Milano, alla prima opportunità sono scappata dalle mie paure.
Purtroppo però le proprie paure non si possono lasciare a casa, certo si è totalmente sicuri di non averle messe in valigia, di averle nascoste laggiù in fondo nell'ultimo cassetto di quell'armadio in quella stanza oscura.
Ma loro sono forti, volano veloci e attraversano gli oceani senza dover nemmeno pagare il biglietto dell'aereo. E arrivano, in un modo o nell'altro arrivano.
Certo l'amore da quando sono arrivata qui è stato solo un gioco, conoscere ragazzi era un procedimento di una ricerca antropologica ad ampio spettro.
C'è stato il trentenne contabile e un pò ordinario, poi il coinquilino artistoide e poi il chitarrista oscuro. Non poteva mancare il fotografo, il quarantunenne che ha cresciuto la figlia da solo e il nerd della piscina. E poi un altro musicista, l'ennesimo passatempo. Ma il tempo passa e il gioco sfugge di mano e finisce che l'ultimo passatempo ti spezza il cuore.
Prendere decisioni con il cuore spezzato non è la miglior cosa da fare.
Anche la visita della mia famiglia ha contribuito a gettarmi in questo panico senza confini ben delimitati. Hanno creato un vuoto spazio temporale che ha rotto i miei delicati equilibri.
E poi c'è la questione che, sulla carta, conta più di tutte: il lavoro.
Eh sì, ho perso la motivazione. L'adrenalina di passare tutto il giorno tra fotografi famosi non c'è più, e tarderà ad arrivare ancora più di un anno. E quello che c'è in mezzo non mi piace, e scegliere un lavoro solo per aspettare che arrivi la parte divertente non regge. Soprattutto se il tuo datore di lavoro è un essere spregevole e ti provoca delle crisi d'ansia mai avute.
Il castello di sabbia mi è crollato in testa, e adesso sono piena di fastidiosa sabbia tra i capelli, negli occhi, nelle mutande.
Perchè se oggi vado al lavoro e gli dico che mi licenzio pare che quest'avventura argentina non abbia abbastanza giustificazioni per continuare, senza contare che sono ancora senza carte.
Tornare, volver.
Volver volver volver.
Cazzo sembra facile, ma se poi torno a casa e, e poi come faccio, di nuovo io con i miei non so cosa fare chi cosa dove quando perchè cosa. E poi se di nuovo tutto mi diventasse stretto stretto come tante volte.
E se poi mi pento, e ripenso a questa casa di pazzi coinquilini che adoro e con cui una cena si trasforma in una festa, e a questa città folle, e a questa lingua che mi entra nel sangue e ai miei compagni di teatro e al corso di fotografia.

E se tutte queste patturnie decisionali fossero determinate dal semplice fatto che uno stronzo ha deciso troppo tardi di dirmi che era fidanzato.
La risposta che cerco è dentro di me ed è sempre sbagliata però.
La spensieratezza dei primi mesi non c'è più, e tutti i nodi vengono al pettine.
Oggi mi sono pettinata, e ho talmente tanti nodi che si è rotto, il pettine.
E trovarsi faccia a faccia con i propri nodi e il proprio pettine non è facile stando dall'altra parte del mondo, dove ci si è, da soli, con sè stessi.

Da Pordenone sono scappata a Bologna, da Bologna sono scappata a Siviglia e poi di nuovo da Bologna sono scappata a Milano dalla cuale sono scappata a Buenos Aires. E da Buenos Aires dove scappo?

E ogni volta credo di tornare più forte e torno più vulnerabile, perchè conoscere è terrbile, viaggiare è la quintessenza del sublime, dolcemente terribile. Perchè alla fine ci si deve scontrare con l'ineluttabile impotenza della prorpia potenza, che è solo alla uno, perchè noi possiamo essere uni e molteplici certo, ma reali solo in una dimensione, a meno che non schizzofrenici.

Non è che non mi renda conto che farsi tutte queste seghe mentali non serva a niente, anzi solo peggiori le cose. A me piacerebbe tanto essere una di quelle persone che non stanno lì a torturarsi nei propri pensieri per giorni e giorni, o per tutta la vita. Ma ormai credo di dovermi arrendere a quello che sono, e forse mi è stato dato questo dono, e magari vincere un piccolo concorso di scrittura era un modo come un altro per dirmi che è prorpio questa la mia dote.

E dunque rimane solo una cosa da fare: un passo alla volta.
Fra un'ora devo uscire di casa per andare in ufficio, e davvero non lo so cosa succederà.