venerdì 15 aprile 2011

COLOMBIA

Sono qui a Bogotà ospite di Valentina, amica di vecchia data che lavora presso WarChild, una ONG olandese.
La maggior parte dei suoi amici sono cooperanti, quindi prima di raccontare il mio vissuto colombiano sparo un pó di cifre che ho raccolto ascoltando conversazioni e che Valentina mi ha aiutato a perfezionare. (Vedi http://www.codhes.org/index.php?option=com_docman&task=cat_view&gid=35&Itemid=50).


280,041: i DESPLAZADOS - persone che devono lasciare la propria terra a causa del conflitto armato o altre manifestazioni di violenza politica e sociale - nel 2010

4,9 milioni: stima dei desplazados in totale

Tra 9.000 e 14.000: i minori reclutati da gruppi armati. Le cifre oscillano. Dipende dalla fonte. Chiaramente nel primo caso parliamo di governo, nel secondo di ONG.

30.000: gli omicidi all'anno

2500: sequestri di persona a scopo d'estorsione

3500 circa: i morti (denunciati) per "falsos positivos" (il governo dà un incentivo ai militari che catturano più guerriglieri. I militari catturano, uccidono e travestono da guerriglieri cittadini comuni.)

1 ogni 24 h: casi di "fleteo" (rapina a mano armata a persone che ritirano i ssssoldi da banche)

6.638: gli ettari di terra espropriata da gruppi armati

5,5 bilioni di pesos: i soldi che ci vogliono per decontaminare il Rio Bogotà

90%: la cocaina esportata

10%: la marijuana esportata

Ma lo sapevate che a Bogotà piove tutti i giorni?
Forse mi avevano avvertita, forse non ho voluto cogliere. Comunque ora, come ieri, sta diluviando, con tanto di tuoni.
E tutti i piani di giretti per la città se ne vanno a puttane. Bah almeno è il clima giusto per sedersi e scrivere.

La mia amica Vale, che è una persona seria e lavora, mi lascia regina del suo splendido appartamento dove io, sì, io me la godo sta pioggia e sono un pigro pigro gatto sonnolento.

Da tipica meri la disorganizzazione la fa da padrona nei piani, così arrivo in Colombia completamente impreparata al freddo, alla stagione di piogge, al fatto che qui non NON CI SONO LE STAGIONI, che tanto vado a casa di Vale e lei sicuramente avrà tutto quello che mi serve.
Così non ho una giacchetta impermeabile (tra l'altro penso di non averla mai avuta), ho tre magliette e un maglione, un solo paio di scarpe e dunque se si bagnano, se si cammina in valli di fango, CI SI ATTACCA E SI RESTA COI PIEDI BAGNATI e ciao ciao belle decorazioni coi fiorellini.

Arrivata qui scopro di non essere in grado di tollerare i 16 gradi di Bogotà, e dopo due settimane sono già che frigno con addosso tutta la roba che ho rimpiangendo il caldo porteño che prima di arrivare stavo maledicendo in tutte le lingue che conosco.
Ma oltre al violento cambio di stagione, (e al cambio di fuso) c'è l'altitudine. Bogotà è a 2640 metri.
Chi mi conosce sa della mia leggendaria potenza fisica, che tra l'altro è notevolmente peggiorata e che non so come mi stia ancora permettendo di fare sta vita da girovaga.
Risultato: per fare due piani di scale ci metto 15 minuti, mi addormento ovunque appoggio la testa, raffreddamento costante.
Si dice che ci vuole una settimana per abituarsi alla scarsezza di ossigeno, mi sa che a me ce ne vorranno come minimo due, eh!
Ma io intanto ne approfitto per coccolarmi in questa casetta che, per me, è quasi una SPA.
Non mi sembra vero di non dover lottare per usare l'unica pentola buona, o di schiacciare con gesto ormai automatico lo scarafaggio che passeggia per il bagno, di avere un frigo dove non solo C'È SPAZIO, ma dove posso addirittura congelare delle cose e soprattutto di avere a disposizione er mejo dell'elettrodomestico (che solo quando non ce l'hai capisci quanto ti cambia la vita) eh sì....sto parlando di lei: LA LAVATRICE. Considerando che mi sono portata tre magliette mi sarà molto utile.
È incredibile come uno si adatti a certe situazioni che se me lo dicevi un anno fa FIGURATI.
Bogotà non è proprio una città easy going. In tutta la mia giornata di autonomia devo restringere i miei percorsi a zone ben delimitate, niente autobus, il taxi lo devi chiamare prima e segnarti il numero che lo identifica e chiudertici anche dentro.
L'ho respirata appena arrivata la tensione, e dire che venivo da Buenos Aires, mica da Pescincanna!
Anche la gente è diversa. Qui ci sono i poveri e i ricchi. Punto.
I ricchi vivono nella zona nord, e dall'alto dei loro appartamentini sembrano addirittura disconoscere la drammatica situazione in cui vivono la città e il paese. Vige un misto di vergogna, conservatorismo e perbenismo che rendono difficili conversazioni spontanee coi locali.
Come è paradossale la situazione sociale così lo è l'architettonica. Vai camminando per una zona dove forse non dovresti nemmeno stare e di quando in quando spuntano edifici stupendi, incredibilmente in armonia con il paesaggio.
Forse è la prima città che conosco dove le nuove tendenze d'architettura, i palazzi con le forme aerodinamiche e le terrazze verdi riescono veramente a integrarsi con armonia nel paesaggio urbano sormontato dalle Ande.
Così sono entrata nelle biblioteche più belle che abbia mai visto, come la Luis Ángel Arango, dalle cui splendide terrazze e vetrate si può ammirare la desolante povertà della città.
E le cose che ami ti vengono sempre a cercare.
Mi siedo nell'emeroteca della biblioteca e prendo in mano la rivista abbandonata sul tavolo. Si chiama El Malpensante, grafica e disegni da paura, contenuti ben bilanciati tra traduzioni di articoli stranieri, tematiche nazionali e parecchia letteratura (c'è un racconto in ogni edizione). Insomma la rivista che io avrei dovuto trovare sedendomi nelle biblioteche della mia facoltà bistrattata, invece di trovarmi costretta a leggere Internazionale, mitico, che però non contempla gli interessi del letterato.

E poi tanti eventi gratuiti, un sacco di proiezioni, concerti e seminari. Così io vado al primo film gratis che becco, ossia a cazzo. Mi siedo nella sala con quattro o cinque barboni e inizia la proiezione. Manco era un film, ma un documentario. Su uno scrittore colombiano, Fernando Vallejo. Provocatore, senza peli sulla lingua, blasfemo e irriverente, libero da qualsiasi costruzione ideologica: è subito amore.

Ma non è solo letteratura e politica questo viaggio. Alta rumba a Bogotà, ballare qui è una questione di cultura. Ed è bellissimo rinchiudersi in un oscuro bar e lasciarsi andare ai ritmi della cumbia e della salsa. Sudaticci e un po' alticci di aguardiente ci si appiccica a qualcuno e si fanno andare piedi, cadera e spalle dimenticandosi le inibizioni del solitario ballo europeo.

Nel finesettimana siamo scappate ad Armenia, per dare un occhiata al eje cafetero, la zona di produzione del caffè. Nella valle del Cocora abbiamo fatto una camminata di cinque ore tra colline verdissime e palme smisurate, tre delle quali ore sotto il simpatico diluvio tropicale, che non distingui se sei completamente immerso nel fango o nella mmerda (cit. Vale), e per tipo cinque volte dovendo improvvisarci equilibriste su palitos di legno che si muovevano come il culo di una cubana.
Il giorno dopo abbiamo preferito affidare i nostri passi al dorso di generosi cavalli che ci hanno portate a una finca cafetera, dove ci è stato mostrato tutto il processo di produzione del caffè e dove abbiamo degustato una buona tazza di tinto.

Oggi si riparte per quella che dovrà essere la parte più bella e selvaggia del viaggio. Direzione Nord, prima tappa San Gil e poi dirette fino in Guajira, l'ultima regione a nord-est che confina col Venezuela ed è bagnata dal mar Caribe.