domenica 22 maggio 2011

Per fortuna l'io, prima o poi, diventa tu.

Sono già un pò di notti che le ore di sonno sono ridotte al minimo tra saluti e viaggi in bus.
Perchè fa più paura tornare che mettersi su un aereo verso l'ignoto?
Le cose sono confuse e chiarissime allo stesso tempo e volano via veloci le emozioni.
Ho provato a immaginare mille volte la sensazione che avrei provato, ma niente ci assomiglia.
Arrivano voci che mi chiedono di pianificare il prossimo week end o il lunedi che arriva ma io non sono in grado di immaginarmi niente di ciò che sarà di là.
Niente di quello che mi è successo quest'anno è stato minimamente pianificato. Le cose si sono date giorno dopo giorno.
Negli ultimi 314 giorni ho viaggiato fino dall'altra parte del mondo, ho imparato a vivere in una metropoli da 13 milioni, ho lavorato alla produzione di un festival enorme, ho fatto uno spettacolo di teatro a Buenos Aires, ho imparato a calcolare i tempi di laboratorio per sviluppare un negativo, ho conosciuto tre nazioni e innumerevoli paesaggi, mi sono dimenticata compleanni e persa lauree fondamentali, ho messo da parte tutto ciò che ero e chi mi aspetta di là per scoprire nuovi amici e nuovissime me, ho imparato a zappare la terra e a piantare carciofi.
So un sacco di cose in più sull'inflazione sugli indigeni sulle vene aperte dell'America Latina. Ho assimilato una lingua.
Ho imparato a cavarmela da sola in ogni circostanza. Ho imparato a prescindere dalla doccia e dai vestiti puliti.
Ma la somma di tutto questo non dà nessun risultato. Si riassume in una sensazione che non si può descrivere.
E poi quando cinque amici passano tutta la domenica pomeriggio a arrotolare i tuoi vestiti per far stare tutto in valigia ogni cosa si illumina.
Un anno si può riassumere nell'intensità di un abbraccio e in un paio di occhi lucidi che ti chiedono di tornare presto.
Io me ne vado con la certezza che non ho visto tutto, che non ho visto abbastanza.
Non ho vissuto niente e non so cos'è l'amore.
Odio le idee grossolane e le opinioni sulle cose.
Non credere di sapere ogni cosa nè di poter dire chi è chi.
Tutti alla lunga siamo tutti e in un certo infinito mare della transfigurazione ci ripetiamo con ostinazione. Per fortuna l'io, prima o dopo, diventa tu.


Ma la mia testa brucia e io non voglio che si fermi.


L'alba ha sempre il suo fascino, anche in mezzo alla spazzatura

Seconda parte del viaggio in Colombia.
Direzione nord, col cambiare parallelo cambiano le stagioni.
Tappa a San Gil, dove il massimo è il rafting tra verdi ammassi di alberi stupefacenti.
E poi tutta dritta fino a Rioacha, si scende dopo 13 ore di autobus per essere prelevati dai mille offerenti di macchine fino a Uribia, la città della spazzatura, della benzina venezuelana e dei passaggi in camion fino a Cabo de la Vela.
La Guajira è una regione di puro deserto dove i Wayu, gli indigeni del posto, gestiscono le terre e vivono di pesce e turismo.
Povertà è dire poco. Le casette sono di fango e tetti di bambù. Il mare è caraibico, ma la spazzatura arriva dappertutto.
Non c'è acqua potabile, ci si lava con l'acqua di mare. Si dorme in amaca.
Per pranzo c'è pesce, e anche per colazione e per cena.
E poi di nuovo si monta sulla camionetta scassata, si sta in piedi dietro, e si scende con vari traumi alla schiena e quantità di terra addosso e in bocca.
Punta Gallina è il punto più a nord del continente. Dopo il camioncino bisogna fare due orette di barca per arrivare. Qui sono tre o quattro le posadas, è un luogo quasi puramente indigeno. Noi siamo da Victoria e la sua immensa famiglia si prende cura di noi. Se il precedente camioncino sembrava scassato quello con cui ti portano in giro qui è da panico. Nel senso che c'hai proprio una crisi di panico quando sei su e il legno del vano di carico a cui ti aggrappi per non essere scaraventato nel nulla forse si aggrappa a te per non volare via.
Un membro della nostra famiglia Wayu protegge le uova delle tartarughe marine dalla voracità delle nostre fauci. Le protegge dalla fame della sua gente.
I giorni volano veloci tra aragoste e sorrisi.
Ultima tappa prima di tornare a Bogotà è Camarones, una spiaggetta dove rispuntano le palme e una laguna con una riserva di fenicotteri e un santuario di tartarughe. E quando vedi spuntare quel guscio enorme e ti emozioni e poi ti dicono che quella è giovane, arriverà a essere di un metro e mezzo o forse di più sei triste perché stanno sparendo e sono così belle.
Le bambine afro vendono i biscotti di cocco e mi accompagnano dappertutto impressionate dal mio cellulare e desiderose di mettersi in pose da modelle di fronte alla mia macchina.
Dal momento in cui ho scelto dove mangiare, sono sotto la custodia del ragazzo che lavora nel ristorante. Mi porta alla rancheria dove dovrò passare la notte. Camminiamo tra cumuli di spazzatura e entriamo nel fangoso villaggio Wayu.
Io dormo nella casa del cacique, il capo villaggio. Dicono che sia un grande onore.
La baracca della mia famiglia è piena di bambini urlanti. Le donne tessono le mocilas, io mi siedo a terra e tesso la mia.
Intanto penso che sono giorni che non mi lavo e che la doccia sarà da rimandare fino all'arrivo a Bogotà. Penso che non so dove metteranno la mia amaca in mezzo a quel disastro. Mentre il capofamiglia, Belisario, mi racconta la storia dei suoi avi io mi rendo conto che spesso i suoi discorsi non arrivano da nessuna parte.
Mentre parla penso anche che il giorno dopo non potrò rifiutare il cibo che mi daranno, e che starò male per questo.
Quasi mi ero dimenticata che è Pasqua.
Nessuno dei figli di questa famiglia ha finito la scuola. La mamma distribuisce ai bambini biscotti imbustati e buttano tutto per terra.
Il giorno dopo sveglia alle 5, Belisario mi porta con la sua barchetta di legno a fare il giro della laguna per vedere i fenicotteri. L'alba ha sempre il suo fascino, anche in mezzo alla spazzatura.
La laguna è incredibile. I Wayu sono quelli che ti fanno da guida orgogliosi della riserva e allo stesso tempo riempono il loro territorio di spazzatura.
Non c'è niente di romantico né di ideale, ci sono esseri umani desiderosi di case macchine televisioni benessere. C'è chi ha fame e chi mangia, come sempre.